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Mamma, Franco va e torna

Gianfranco e Maria Ghezzi - 2000
Gianfranco e Maria Ghezzi – 2000

Tra le persone che compaiono, a distanza di anni, nei ricordi e nei racconti albiatesi, nelle chiacchere delle persone e sulle pagine locali di Facebook, c’è Gianfranco Ghezzi, da tutti chiamato “Cecòt”, per anni titolare del bar e dell’edicola nel centro del paese.

Benvoluto da tutti per la sua affabilità, tifoso sfegatato dell’albiatese, “giornalaio giornalista” perchè spesso, oltre a vendere i giornali, ne riferiva le notizie più importanti, era riconosciuto da tutti per il suo cappello, indossato sempre.

Gianfranco Ghezzi visse gli anni della seconda Guerra Mondiale da soldato prima, e da prigioniero poi. Arruolato nella Divisione San Marco, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 venne deportato insieme a molti altri soldati italiani in Germania.

Qualche anno più tardi, quando la guerra era ormai lontana, Gianfranco scrisse un resoconto di quegli avvenimenti su un’ agenda bianca, datata 1959, conservata in una cassetta di legno, che in precedenza aveva contenuto bottiglie di vino.

Ritrovato dalle figlie, Eugenia, Emanuela e Elisabetta, il suo diario è stato pubblicato con il titolo Mamma, Franco va e torna (Limina Mentis editore, 2013).

Sono pagine che raccontano, con estrema semplicita’, i giorni di prigionia vissuti in Germania; il diario permette di rivivere, data la sincerita’ nell’esprimere i sentimenti di quei giorni, lontano dai propri affetti, sorretto solo dalla fede dall’amicizia dei commilitoni e dal pensiero dei suoi cari, non solo la vicenda personale di Gianfranco, ma anche quella dei soldati italiani prigionieri in Germania.

IL DIARIO

il Diario
il diario

“Avendo trovato, tra altre cianfrusaglie, il taccuino che avevo nel lager tedesco e sul quale ci sono segnate le note degli avvenimenti che mi capitarono nei giorni che trascorsi in Germania, mi ha fatto pensare al modo di unire le mie note con qualche impressione rimastami su tale periodo di tempo.

Inoltre trovandomi questa agenda per le mani che ha spazio ed essendo qui all’edicola dove c’è poco da fare per passare il tempo ho deciso di trascrivere qui una specie di diario di quei mesi. Io non sono uno scrittore e nemmeno un maestro di scrittura; ciò che scrivo, lo copio scritto, così alla buona, come mi viene e un poco scarno come dal mio diario; ricordando però che le impressioni che provai allora sono incancellabili dall’animo mio.

Comincerò col dire che ora a ripensarci in una stanza pulita con i mobili ben disposti alle pareti, un interruttore per far luce appena scendono le prime ombre della sera, a ripensarci ora, che posso scendere comodamente dinanzi ad un tavolo a far colazione….. che la mattina posso mettermi una camicia pulita, e scegliere una cravatta che s’intoni col colore del vestito, e la sera a lasciare aperta la finestra con la luce accesa (senza pericolo per l’oscuramento) che basta far quattro passi per trovarmi fra la gente per bene e per sentire parlare la mia stessa lingua, per udire la musica trasmessa da un apparecchio radio: a ripensarci ora quasi stento a credere che quelle giornate trascorse nel lager (campo) siano realmente esistite. Ho l’impressione di aver sognato; di aver fatto un brutto sogno, dal quale non ci si possa liberare con una semplice scrollata delle spalle. Eppure la dura vita del lager, la vita da cani, sempre pronti a correre al fischio del sergente o maresciallo tedesco (se no erano giri su giri, o busse) è stata una dura realtà.

Sì perchè anch’io, circa 14 anni fa, ero un interminabile numero sulla giubba del lager tedesco, con la divisa che col passare dei giorni era diventata irriconoscibile, col tessuto consumato e di un colore inspiegabile. Ma i panni erano nulla; il più erano le energie che si andavano lentamente esaurendo (guai se mi avesse visto mia madre in quello stato, Lei che aveva avuto sempre tante cure per me).

Ecco come mi avevano ridotto. A fermarsi un momento col pensiero, ogni parola, ogni gesto, riacquista l’attualità di quei momenti di sofferenza.

Ora è passata!

Ringrazio il signore Iddio e la Madonna che mi tennero sotto la loro benedizione nelle più dure traversie, e san Fermo che viene venerato al mio paese, perchè proprio nel giorno della sua festa, il 9 agosto, io mi trovavo sul treno che tornava in Patria.

DA VERCELLI A PADERBORN

Se si apre un atlante geografico della Germania, sulla sinistra sotto il confine Olandese, c’è

Gianfranco maro' della san Marco
Gianfranco maro’ della san Marco

una regione che si chiama Westfalia: guardando attentamente, vi si trova segnata una città il cui nome è Paderborn, fu là che finì il mio viaggio in una buia sera di oscuramento, per la paura delle incursioni aeree, dopo tre giorni e tre notti di treno, dalla ridente e gaia cittadella di Vercelli a quella che mi apparve come una grigia e tetra città tedesca.

Ma procediamo con ordine, ecco dal mio taccuino le note che scrissi su quel mio viaggio: Sono in branda esattamente le ore 5 scarse, del mattino, si sente gridare… due soldati tedeschi coi mitra sottobraccio urlando a più non posso sono entrati in camerata; sveltamente ci vestiamo e tutti si finisce in cortile. Altri soldati tedeschi non si sa da dove sbucati ci tengono d’occhio, il sole sta spuntando in questa fresca e chiara mattina, siamo come un gregge senza ordini e senza capi, 2 o tremila di preciso non so…… soldati di tutte le armi, in tutte le fogge e divise, di stanza in questa graziosa cittadina del Piemonte. La caserma è quella detta dei “Cappuccini” ed è una specie oramai di un campo di concentramento ed io, o meglio noi, presi, siamo già virtualmente prigionieri dei nostri alleati di ieri.

Siamo avviati in lunga colonna alla stazione per essere avviati in Germania: ecco la lunga sfilata, per le strade di questa cittadina di provincia bella con le sue risaie che la circondano, siamo incamminati; con una stretta al cuore; ai lati della strada soldati e militi della S.S. ci tengono incolonnati e ci minacciano coi mitra e fucili puntati, la gente ci guarda ci commisera, qualcuno piange sento esclamare: “poveri ragazzi li mandano in Germania”.

Noi si va avanti: chi col zaino, chi senza, chi con una valigetta e chi senza il cappotto, in divise che non hanno nulla di militaresco, ci sono giovani imberbi, delle leve più giovani, come me: altri già anziano di anni e di naia.

Il treno arriva a marcia indietro e tutto composto di carri merci e bestiame, vagone per vagone, venivano fatti salire, in quaranta per volta. I portoni si chiudono le sbarre si abbassano, nella garitta del frenatore prende posto un soldato tedesco, ed ecco precisamente 10 minuti prima di mezzogiorno il treno si muove.

Mah!…. Che Iddio ce la mandi buona. Passano le risaie,passano le campagne i casolari, passa Novara, dove ci siamo fermati un poco per agganciare altri vagoni.

lettera inviata a casa
lettera inviata a casa

Con l’angoscia nel cuore penso a casa e a mia madre e a mio padre, un mio amico che ha una bottiglia di Grappa me la passa e ne bevo un lungo sorso anche se so che rischio di ubriacarmi, perché non sono abituato a berne, ma io non voglio continuare a pensare tutta la notte. Non riesco a dormire, sebbene abbia bevuto un’altra sorsata di grappa, ed il primo chiaro del mattino mi trova che non ho chiuso un occhio.

Incominciamo ad attraversare colli e monti ecco Trento e per più avanti Bolzano, il treno prosegue sempre la sua corsa, sebbene a velocità ridotta ed a ogni giro di ruota ci avvicina al confine.

Dove andremo a fermarci? I pensieri agitano l’animo mio e dei miei compagni. Per scaramanzia, con una matita copiativa scrivo sullo zaino “Mamma. Franco va e torna”: mi sarà di buon augurio? lo spero…..

Sono tre giorni che si viaggia.

Paderbon, ora finalmente sappiamo dove siamo, ecco i sobborghi, ecco la città dal treno ne vedo una parte così di sfuggita, sembra ben messa, vedo un tram una lunga ciminiera si fanno nuovi chilometri la campagna ci riprende ma ecco delle luci il treno ha rallentato e fermo un cartello in questa stazione ci informa che si chiama Senne. Sono le nove di sera, col zaino in spalla, pieni di freddo, moralmente depressi anche per il duro linguaggio dei tedeschi ci hanno fatto scendere dal treno e dopo averci contato come pecore siamo incolonnati a quattro a quattro e facciamo la nostra entrata nel campo di Senne, il lager. Sono le 10 di sera, nel lager noto che vi sono già degli italiani non vi so dire la commozione, gli abbracci noi novelli dei lager e quelli che già non ne potevano più.

LA VITA NEL CAMPO

commilitoni
commilitoni

Si dorme in una grande tenda ed in baracche tutte numerate, io sono in una grande tenda, come quella di un circo equestre, fa freddo, è pieno zeppo, non è possibile sdraiarsi per terra sulla poca paglia, non erano passati ancora 20 minuti quando con un fischietto (il sistema tedesco di chiamata) ci fanno uscire tra gli alberi e prati e ci conducono a gruppi, in una grande baracca di legno a fare il bagno i vestiti li mandano al gas a disinfettare e noi all’aperto, all’aria fredda in attesa che ce li portassero, inoltre erano bagnati, siamo stati ieri sera al freddo completamente nudi (senza esagerare) due ore, si tremava da capo a piedi, per scaldarci ci davamo degli schiaffi l’un l’altro, poi ci diedero del caffè caldo (un surrogato) e ci dissero di arrangiarci per dormire, entrai in una baracca, era una stalla per cavalli, si stava abbastanza al tiepido e caddi addormentato come un sasso, erano le tre di notte passate.

in coda per il rancio
in coda per il rancio

Alle 5 di oggi sveglia, nuova conta (sembra che i tedeschi abbiano una mania per i numeri), poi incolonnati e visita medica, la visita medica si protrae per le lunghe, mi uniscono con altri 150 e veniamo condotti a alloggiare in una baracca.

Così a occhio, il lager (campo) mi pare grandissimo, pressappoco come il parco di Monza. Tutto cintato di rete metallica e filo di ferro spinato, alle entrate ci sono due sentinelle tedesche, su un’antenna sventola una bandiera tedesca e su due colonne vi sono due aquile in legno, ad ali spiegate, sulla sinistra di chi entra nel campo vi è un caseggiato con un campanile: è la prigione del campo.

È una valanga di cose nuove da imparare ogni giorno, compresa quella di masticare l’insalata amara.

Il vitto giornaliero consiste quasi sempre in caffè (acqua) caldo al mattino o the (che sembra un infuso di foglie di tiglio). A mezzogiorno: quattro patate (contate) non sbucciate, un mestolo di orzo bollito, oppure minestra di crauti, rape, a pappina (che sembra colla per attaccare i manifesti) e un filone di pane nero da dividere in quattro. La sera per cena: latte condensato con miglio, oppure un’altra broda di colore verdognolo, un pezzetto di margarina o un cucchiaio di marmellata o miele.

Riassumo:

  • mattino: caffè una tazza
  • mezzogiorno: quattro patate, un mestolo di orzo e una fetta di pane
  • sera: un mestolo di latte con miglio ed un pezzetto di margarina.

Generalmente (se non si è già alzati per l’allarme) la sveglia alla mattina è alle cinque, e ci si lava a torso nudo con un freddo cane, alle sei si parte per il lavoro o l’istruzione, dalle 18 fino alle 21 libertà nel campo alle 21 alle 21 tutti nelle baracche, che si va in branda.

La fame non ci molla, lo stomaco brontola, si tira la cinghia. Oggi giornata nera, il più che soffro è il freddo e da quando sono qui non ho dormito ancora a sufficienza.

Girando nel lager per il bosco ho scoperto un nido di merli e (mi sento un po’ in colpa) ho bevuto le uova che aveva. In baracca si discorre molto tra di noi. Il vitto è scarso però a tratti troviamo l’umore tipico di noi italiani. Abbiamo fatto una canzone che dice così:

Quando nel lager vien giù la sera, ritorniamo a dormir….
sulla paglia si spera, che pur deve finir….
Son lontane le cento città e le nostre mamme son là,
il loro amore come fiamma ci viene a riscaldar …..

Oggi è domenica, siamo andati alla S. Messa in una baracca dove hanno allestito un altare. Il cappellano ci ha rivolto buone parole di fede e di conforto. Quale bene ha fatto anche a me un po’ di preghiera… mi sembra di sentirmi più tranquillo e lieto.
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il lager

Attacco aereo

Domenica 27 Maggio 1944 – È Certamente un caccia americano con stella bianca sulle ali, bassissimo, mitraglia il lager, dietro a lui tre caccia tedeschi sono al suo inseguimento, l’attacco è stato improvviso, il caccia è piombato sopra di noi durante il preallarme (suono; che vuol dire che gli apparecchi non hanno ancora passato il confine; ma sono già stati segnalati) le mitragliere della FLAC tedesche a terra sono sorprese dall’audace e improvviso attacco del caccia americano i tedeschi si sono gettati a corpo morto a terra, noi via di corsa sotto i pini si stava a guardarlo girare.
Mi è toccato scendere nel rifugio coi tedeschi che gridavano per quattro, ho constatato che anche questi super uomini hanno paura di lasciarci la pelle.

GLI AMICI

i commilitoni prigionieri: tra loro tre albiatesi
i commilitoni prigionieri: tra loro alcuni albiatesi

Fra i compagni siamo tutti più che fratelli, nella mia baracca c’è Perego Pietro di Brugherio c’è Lovati Vittorio di Nerviano,
Gecchele Antonio che è di Bergamo, c’è Bocassino il torinese, un ragazzo timido che piange sempre e si dispera, ci sono diversi emiliani quali Campioli Athos di Correggio, Medici, Boraldi Pecorari c’è Faedi mantovano, etc.. siamo tutti amici tutti fratelli ci vogliamo bene.. inoltre in un’altra baracca vicina c’è Casiraghi di Tregasio: ci troviamo tra noi e discorriamo dei nostri paesi.

Oggi noi della baracca 76, non so di preciso come, siamo venuti in possesso di una bicicletta, e il maresciallo tedesco Lutze, quando l’ha scoperta, prima ha urlato poi ha deciso di lasciarcela (anche perché è una carretta arrugginita).

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Ho fatto un giro per il campo, sono a lavorare a Bad Lippspringe nel tornare mi sono fermato in una cantina (specie di osteria) a bere una birra, quando mi sento prendere per il braccio, lo guardo e lo riconosco è uno della cascina Canzi, entriamo nella birreria e beviamo le due birre, lui mi dice che ha fame io lo conduco alla mia baracca dove ho un pezzo di pane, lo taglio in due e mentre mangiamo pensiamo di scrivere a casa anche perché questo mio amico che si chiama Ferdinando non ha ancora ricevuto posta da quando si trova qui. Non so dire la gioia e la contentezza di entrambi ci domandiamo a vicenda un mondo di cose e facciamo progetti per il futuro, sempre che sia possibile ritornare alle nostre case.

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Ricevo una lettera in data 27 – 5 – 44 in cui il mio amico Viganò Mario di Albiate, contrada del Castello mi dice che si trova a Emden da 17 mesi e spera se possibile che abbiamo ad incontrarci…. oggi stesso gli scrivo dicendo che sarà difficile trovarci, però non si sa mai.

Oggi sono solo in baracca, sono tutti al lavoro ed all’istruzione a mezzogiorno, Perego mi ha portato il rancio, è venuto il Casiraghi a trovarmi mi ha restituito la sigaretta che gli avevo dato giorni scorsi, fatte due o tre boccate di fumo l’ho data a Perego che è un fumatore accanito, non ho voglia di scrivere, la ferita alla testa mi fa male, il pensiero corre a casa e mi sento triste.

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Non so proprio che fare per colmare la fame; penso di andare nel bosco a vedere se si può trovare qualche cosa, o raccogliere l’insalata matta.  filo fuori dalla capanna e velocemente mi sono diretto verso il bosco, quando da un sentiero laterale, vengono quattro soldati uno mi ferma e mi dice; “non sei milanese” e mi squadra in faccia, anch’io lo guardo….. mi fa “te se minga del Biaa in Brianza” … ed io subito: “e te, tè se minga de Suvic,” e lui “propri” ci stringiamo le mani commossi e continua a dirmi “questo è del tuo paese” ma io non lo conosco, anche lui stenta un po a riconoscermi, poi mi spiega che è otto anni che è militare è stato preso in Grecia etc… etc… mi dice di dirgli qualche cosa del paese e quei di Sovico comprendendo che abbiamo molte cose da dirci se ne vanno lasciandoci soli: Lui continua a domandarmi notizie del Paese e io gli confido che ho fame Lui è anziano, sa darsi un pò da fare coi tedeschi) si chiama Mantegazza Guerino e mi conduce nella sua baracca e meglio in un piccolo ripostiglio dove ha la sua branda, alza un telo tenda e prende un pezzo di pane nero, quasi un filone, lo taglia e me ne porge un pezzo, (che faccio sparire in tasca) indi mi da un quadratino di miele duro.

Chiacchieriamo ancora per un po’ mi dice; che hanno attentato al Fuhrer e che la guerra finisce presto, ci salutiamo perché lui è chiamato da un suo compagno ed io salgo dove un piccolo cimitero di prigionieri morti nella guerra 15-18 e mangio il pane e miele che mi ha dato.

PARTENZA E RITORNO A CASA

I giorni si alternano alla speranza più rosea ed allo scoramento più triste! Si parte non si parte! Però! Circola aria di partenza…

Ecco l’alba del giorno tanto atteso, veniamo incolonnati e avvicinati al treno ogni vagone ha un numero segnato in gesso, partono pure alcuni nostri compagni convalescenti vengono alloggiati in tre o quattro vagoni migliori degli altri. Alle 10 del mattino il treno è partito, siamo lieti, si va verso il sud, cioè verso l’Italia.

Sto pensando a come sono conciato (non solo io ma anche tutti i miei compagni) e mi prende un vago senso di nausea, magari oltre ogni dire, con le barbe lunghe che negli ultimi giorni non si è potuto tagliarle ed io coi capelli rasi a zero, gli occhi (non solo i miei) che sembrano spiritati, le giubbe rattoppate e spiegazzate i pantaloni che lasciano intravedere le ossa dei ginocchi, muovono pietà e compassione, e parecchi civili ce lo dimostrano, solo nel sorriso abbiamo qualche cosa, che non so, ci fa dimenticare fame sofferenza e tutto, e ci fa lieti, questa cosa è che ci avviciniamo alla nostra terra, al nostro sole che non ha uguali.

Quando il treno si ferma molti saltano a terra e la baciano, un sergente che da otto anni è via abbraccia una vecchia signora del Trentino come avrebbe abbracciato sua madre.

Quali brividi dà il momento del ritorno: come a chi, da una nave che è stata sulla burrasca, vede vicino la terra il porto di sbarco”.

Conclusione.. il ritorno
Conclusione.. il ritorno

Pensieri di Natale

Il motore di ricerca di Ubisuntalbiatenses ha trovato nel suo ponderoso archivio multimediale testimonianze di qualche Natale fa.

Noi  ve le proponiamo e vi suggeriamo di lasciare allo Spirito del Natale la possibilità di entrare nei vostri cuori per fornire a ciascuno una personalissima chiave di lettura.

Da Ul Lanternin: Albiate in versi

Dal Natale del 1961: Gli avvisi sacri

Dal Natale del 1980: Articolo di Don Giuseppe e Don Bruno

Dal Natale del 1982 sul Bollettino di San Fermo: Articolo di Don Giuseppe e Don Bruno

Dal Natale del 1982: Articolo di Remo Canzi

Da Ul Lanternin: La parola ai più giovani

Ebbene?  …volete condividere con noi e i nostri lettori qualche pensiero natalizio?

 

 

Gli SLAG

Slag_logoFebbraio 2005, Sante Quarantore: Suor Marinella e le sue timide parole, pronunciate di fronte ad un nutrito gruppo di 18-19enni. D’improvviso, un’idea. Alberto, che indossa le Goodyear azzurre con le strisce gialle, suona il pianoforte da diversi anni. Samuele, capellone a fungo atomico, percuote come un tamburo, a ritmo di marcia, tutto ciò che gli capita sotto tiro. Gabriel, che indossa già giacca e cravatta, conosce a menadito qualsiasi canzone italiana e canta già alla messa del sabato sera, alle ore 20, in quel del Dosso. L’idea non rimane tale.

Marzo 2005, oratorio Paolo VI, festa del Papà. L’idea diventa concreta: gli SLAG irrompono sulla scena Albiatese. Dopo l’incontro di preghiera nel palazzetto dell’oratorio Paolo VI, gremito in ogni ordine di posti, Samuele, Laura, Alberto e Gabriel (da qui il nome SLAG) esordiscono con un mini-concerto di sei brani, un mix tra Cesare Cremonini e gli 883.

Maggio 2005: nelle tiepide serate della “Madonna che cammina”, ricordate con un briciolo di nostalgia, durante le quali la Madonna di Fatima si spostava di casa in casa, all’inconfondibile suono delle Ave Maria di Don Franco e sotto la vigilante guida di Mario e Pinuccio, agli SLAG frullavano altre strane idee per la testa.

Sabato 11 Giugno 2005, festa dell’Azzurra. Alle ore 20.45, presso il palazzetto dell’oratorio Paolo VI, il sogno diventa realtà. Gli SLAG tengono il loro vero primo concerto. Il DJ Nicolò allestisce un impianto degno delle migliori band in circolazione, la tensione si tramuta presto in adrenalina pura e, sotto la spinta del tifo del pubblico Albiatese, il concerto riscuote grande successo.

Ecco la scaletta del concerto;  puoi anche riascoltare alcuni momenti di quel concerto!

E tu, ricordi gli SLAG? Hai foto o video di qualche loro esibizione/concerto? Ricordi altri gruppi musicali che sono apparsi sulla scena Albiatese?

Padre Mario Longoni, 35 anni di sacerdozio: ad multos annos!!!

padre_mario_longoniPer chi non lo conoscesse:

Figlio de l’Amelio ul calzular…”: ecco la sua storia raccontata su Ul Lanternin direttamente con le sue parole (siamo alla fine degli anni ’70)

Risponde alla chiamata del divenire sacerdote… e nel giugno 1980 il paese di Albiate si prepara alla festa!

Amici, giovani e bambini gli scrivono… e Padre Arnaldo Guerra ci ricorda che è un “nuovo prete”…Betharramita (dal Bollettino Parrocchiale di San Fermo – giugno 1980)

E che festa! Preceduta da un’intera settimana vocazionale!!! (dal Bollettino Parrocchiale di San Fermo – agosto 1980)

Presto pubblicheremo una bella biografia di Padre Mario…

 

Buon compleanno Don Bruno!!

Oggi, 22 settembre, don Bruno Molinari compie gli anni…

E’ stato bello condividere con lui ad Albiate tanti momenti… dall’inizio alla fine della sua permanenza in paese…

La sua prima “predica” ad Albiate il 28 agosto 1976 (dal quaderno de Il Cittadino della Domenica “il mio oratorio”)

Un breve ritratto… alla sua partenza da Albiate (dal testo di G. Sala)

Un po’ di foto che ci riportano indietro negli anni…

Vuoi fare gli auguri a Don Bruno?… puoi scrivere un commento qui sotto o inviargli una mail al suo indirizzo ufficiale di Monsignore a Seregno:

monsignore@basilicasangiuseppe.it

Sicuramente ne sarà felice… parola di Macchie Rosse!

Evviva la Scuola! La Scuola è viva!

In questi giorni centinaia di ragazzi albiatesi hanno il loro primo giorno di scuola…. ma quando è stato il primo giorno della scuola di Albiate? 🙂

Gli asili

Dal vecchio asilo del 1907… “Asilo infantile Galeazzo Viganò”  (tratto da PP. 68-69 di G. SALA, Albiate – dal Museo iconografico e storico)  all’Asilo Giovanni XXIII ….

Asilo_anno_1974

…. inaugurato l’8 settembre 1968… data importante per la comunità albiatese, ricordata come la “Giornata delle realizzazioni”…

Sapete quali altre opere furono inaugurate nella stessa giornata alla presenza del Cardinal Arcivescovo Colombo e del fratello di papa Roncalli, Giuseppe?

Oggi ad Albiate sono attivi la Scuola Materna Giovanni XXIII e l’asilo privato Fate e Folletti.

La Scuola Elementare 

Dedicata a Giuseppe Ungaretti è stata inaugurata nel 1929

Quanti ricordi nelle e dalle aule scolastiche… Fra gli altri qualche numero dei giornalini scolastici ciclostilati dell’epoca. Siamo alla fine degli anni Settanta e la Leva del ’68 fra Quarta e Quinta elementare, nei tre corsi A B e C, si impegna in un duplice interessante lavoro di cui possiamo ancora oggi apprezzare genuinità e freschezza:

 Maestre delle tre classi erano: Maria Ardemagni, Eugenia Ghezzi e … vi ricordate il nome della Terza insegnante? Inviatecelo pure, con i vostri ricordi dai banchi…    

Oggi la Scuola di Albiate ha un ricchissimo sito http://www.icalbiatetriuggio.gov.it

La Scuola Media

Intitolata a Enrico Fermi G. SALA, a pp. 217-218 in “Albiate. Dal dopoguerra all’inizio del nuovo millennio” ci ricorda, tra l’altro, della posa della prima pietra avvenuta il 1 novembre 1967.

La Scuola Professionale

Con decreto n 5403 del 27 aprile 1947 venne ufficialmente autorizzata l’apertura della Scuola Professionale dell’Oratorio di Albiate. Ne abbiamo notizia alla p. 73 di G. SALA, Albiate – dal Museo iconografico e storico


Ci piacerebbe raccontare anche del 1861, subito dopo l’Unificazione e la nascita del Regno di Italia, allorchè ad Albiate, che aveva allora censiti 1392 abitanti, vi era una scuola primaria classificata come “Rurale inferiore” e si arrivava fino alla Terza classe. 52 erano gli alunni maschi, 0 le femmine…

Mancava infatti nel nostro paese una scuola femminile, come del resto avveniva nel Mandamento V di Monza (che faceva capo a Carate, paese con 2782 abitanti) anche a Calò, a Cazzano, a Corezzana, a Paina, a Robbiano, a Tregazio, a Triuggio, a Valle, a Veduggio, a Vergo, a Villa Raverio…

Ma questa storia vi può interessare?… 

Buon compleanno Oratorio Paolo VI

Auguri per il tuo cinquantesimo compleanno… Oratorio Paolo VI!

Era il 12 settembre 1965, quando l’Oratorio maschile Centro Paolo VI veniva inaugurato per la gioia di generazioni di Albiatesi, che lì avrebbero trascorso e trascorrono parte della loro giovinezza e della loro vita…

Alcune fonti storiche:

Un’opera coraggiosa che preoccupava un pò il Vicario Don Giuseppe per il sostegno finanziario …

realizzata in anni in cui si aveva tanta fiducia nell’avvenire…

Qualche immagine degli anni 80 e 90 del nostro oratorio

A tutti coloro che hanno nel cuore l’Oratorio Paolo VI suggeriamo di cercare nelle loro biblioteche di casa il bel volumetto … Il mio Oratorio (appunti di Storia ed Educazione 1911 – 1991) edito da “il Cittadino della Domenica” nella serie dei Quaderni Albiatesi (n. 45).

Per chi non lo trovasse, presto torneremo a parlarne.

Lasciateci vostri commenti o ricordi, saremo ben lieti di condividerli

Albiatesi a Milano tra XIII e XV secolo: continua

Da PETRACIUS a GUIDOTUS, GUILLELMUS, AMBROGIUS… (casi esemplari fra appartenenze religiose, incarichi civili e commercio della lana)

Il frate umiliato Petraçius aveva rappresentato nel XIII° secolo una delle prime esperienze di trasferimento di nostri concittadini verso la città di Milano, non certamente l’unica.

Anche altri personaggi albiatesi si inurbarono sul finire del ‘200, dapprima arrivando ad assumere importanti funzioni amministrative e civili all’interno delle affermatesi istituzioni comunali, successivamente rivestendo uffici ed incarichi politici a nome delle signorie viscontee e sforzesche.

Un nostro concittadino, tal Guidotus de Albiate, venne chiamato nel 1284 (si veda l’atto del 24 maggio di quell’anno, conservato in ASMi, Perg., Monastero Vetteri, cart. 528) a partecipare al consiglio dei “Sei della Camera” del Comune di Milano (sex presidentes rationibus et defensionibus comunis Mediolani) ed in quella veste fu più volte interpellato per la risoluzione di controversie finanziarie sorte fra la municipalità milanese ed i suoi debitori e creditori.

Si trattava senza dubbio di un ufficio particolarmente rilevante, dal momento che questi sei funzionari (nominati uno per ciascuna delle porte attraverso le quali si accedeva alla città), affiancati nel loro operato da due notai, avevano il  compito di registrare le entrate del Comune su sei appositi registri, badando sia a non procedere – se non dopo averne fatto annotazione nei propri libri contabili – ad alcuna liquidazione di somme di denaro a creditori, sia ad impedire che cittadini milanesi facessero prestiti a persone e Comuni posti fuori della giurisdizione di Milano (ed alimentassero così la potenza di città nemiche).

Curatore degli interessi finanziari del capoluogo lombardo dovette allora essere l’albiatese Guidotus in quei sei mesi (tale era la durata del mandato) in cui detenne la carica, ma non solo…

I “Sei della Camera”, infatti, erano tenuti a custodire gli Statuti e gli ordinamenti della città, ad adoperarsi perchè il podestà, i consoli e gli altri officiali li osservassero, ad essere, pertanto – per quanto fosse nelle loro possibilità – sentinelle di libertà per il popolo in un’epoca in cui le rivalità fra gli esponenti delle famiglie dei Della Torre e dei Visconti continuamente laceravano il tessuto sociale della vita cittadina.

Accanto a Guidotus meritevole di citazione appare in questa sintetica ricognizione degli Atti del Comune di Milano (M.F. BARONI, R. PERELLI CIPPO, Gli Atti del Comune di Milano nel secolo XIII) anche Guillelmus de Albiate, forse figlio di tal Gallinus, che in Milano rivestì cariche giuridiche a partire dal 1263, ora come notaio addetto alle sentenze della Camera di porta Vercellina e di porta Ticinese, ora con la denominazione di notaio e scriba della camera di palazzo del comune di Milano (nei documenti degli anni 1266-1267), ora in qualità di consul pro iudice Mediolani (5 aprile 1272). 

Ma le fortune degli Albiatesi nell’amministrazione del capoluogo lombardo dovettero continuare anche nei secoli successivi con l’avvento delle signorie viscontea e sforzesca.

Se prestiamo fede ai dati fornitici da C. SANTORO, Gli offici del comune di Milano e del dominio visconteo e sforzesco (1216-1515), Ambrogio da Albiate agli inizi del XV°secolo e fino al 1405 (quando, alla sua morte, venne sostituito da Apollonio de Polla) fu uno dei notai dei malefizi collaborante con i due giudici addetti alle cause criminali. Quest’incarico, in precedenza assegnato dal Podestà della città, al principio del ‘400 era messo all’asta e dato quindi al miglior offerente.

Sufficientemente ricco (o comunque abbastanza importante nel contesto sociale) da permettersi questa carica fu probabilmente Ambrogio che venne scelto anche perché, come richiesto dagli Statuti cittadini, “straniero” alle lotte fra le fazioni cittadini o comunque gradito al Signore regnante.

Tra i suoi compiti a Milano: la redazione, la sottoscrizione e la registrazione degli atti inerenti ai reati commessi dai criminali dell’epoca, la notificazione ai rei delle accuse presentate contro di essi, affinché provvedessero alla propria difesa nel termine di tempo concesso dalla legge, l’inoltro dei mandati di sequestro di merci nei confronti di debitori insolventi.

Appartenente ad una famiglia di cospicua stirpe dovette essere anche il nobile uomo Simone da Albiate, che, nominato podestà di Crema nel luglio 1439, dopo un periodo di vicariato di sei mesi del dottor Lombardo de Millio, assunse la suddetta carica nel 1440, conservandola fino al 1444 (quando fu sostituito da Nicolò de Giorgi). Forestiero, scelto verisimilmente – secondo consuetudine – fra le famiglie più ricche e più nobili delle città alleate o amiche della Signoria che regnava su quei territori, Simone si dedicò all’amministrazione della giustizia sia civile che penale (con potere anche di condannare a morte) nella città di Crema ed in parecchie pievi circonvicine, mantenne a sue spese la corte, svolse funzioni di rappresentanza del Signore in un’epoca in cui la figura podestarile aveva ormai perso molti dei suoi poteri reali ed era assurta a mera “carica di prestigio”.

Ma famiglie provenienti da Albiate si trasferirono in Milano anche per impegnarsi in una delle attività maggiormente diffuse nel capoluogo e nel contado in quegli anni: la lavorazione della lana.

Con il perfezionamento della tecnica della lavorazione dei panni e con la diffusione di quest’arte, fra XIII° e XIV° secolo si venne progressivamente affermando una classe intermedia tra i grandi importatori di lana e gli artigiani: erano i mercanti-imprenditori che acquisivano dal grossista la materia prima, l’affidavano per la lavorazione ad operai specializzati e poi si impegnavano a portare sul pubblico mercato il prodotto finito, definendo opportunamente i prezzi.

A questa categoria, che già dal 1330 (ma forse anche prima) in Milano si era distaccata dalla “società dei grandi mercanti” ed aveva assunto una normativa statutaria autonoma per la propria attività, si affiancarono con la fine del secolo alcuni gruppi di lavoratori che erano riusciti a costituire delle corporazioni a sé stanti.

Un esempio di queste prime forme di cooperazione, nate dalla volontà di tutelare i propri interessi e di svincolarsi dai rigidi legami imposti dai grandi imprenditori, fu la “Società dei mercanti di lana sottile”, cui si iscrissero il 16 dicembre 1406 anche i fratelli Andriolus, Girardus, Aluysius e Donatus di Albiate.

Figli del defunto Zillio, residenti nella parrocchia di San Bartolomeo entro la cerchia cittadina, abbastanza ricchi da versare un deposito per l’iscrizione alla Società, i fratelli albiatesi in quella data diedero garanzia di esercitare fedelmente l’arte della lana e si impegnarono a rispettare gli statuti dei mercanti. Con il consenso dei vertici associativi registravano quindi in uno dei sette registri della matricola cittadina il proprio nome ed il marchio – mai da mutarsi nella figura e nella forma – che avrebbero apposto alle stoffe da vendersi sui mercati del capoluogo ed extracittadini (cfr. C. SANTORO, La matricola dei mercanti di lana sottile di Milano, p.45).

Uomini di fede, amministratori capaci della cosa pubblica, esperti lavoratori erano dunque gli Albiatesi del mondo medievale inseriti nella vita cittadina milanese.

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