Elvezio… il respiro dell’amicizia

Elvezio Pelucchi
Elvezio Pelucchi

Lo conobbi un martedì sera di tanti anni fa, mentre con Pio si stava bonariamente disputando la famosa poltrona ricoperta dal telo a piccoli quadretti nella sala del don, durante l’incontro-catechisti settimanale, in cui si presentavano le lettere pastorali del Cardinal Martini da mettere in pratica nella vita parrocchiale…

In quell’occasione, come in molte altre, fu lapidario nel concludere: “ci ingegniamo per tante cose… ma ai ragazzi devi solo far conoscere che Gesù è un amico!”.

Elvezio e la moglieQuella frase, che porto ancora stampata nella mente più che cento incontri e conferenze, è stata davvero il motore della bicicletta di Elvezio nel girovagare per le strade non solo del nostro paese, ma della vita sua e delle tantissime persone che ha incrociato.

Le parole di Elvis erano davvero “vive, efficaci, più taglienti di ogni spada a doppio taglio” (Eb. 4, 12), perché nulla con lui era scontato, banale o ripetitivo, ma tutto doveva esser nuovo e rinnovato in nome di quell’amicizia che, per lui, era sempre sacra…

Elvezio

Da quel martedì ho avuto modo di incrociare tante volte quest’amico, allora catechista e animatore dei ragazzi della classe 1972, che sono rimasti legati a lui come a un papà-amico, sempre disposto ad ascoltare e a condividere istanti, dall’incontro del venerdì sera alla mangiata insieme ai Crotti, alle quattro chiacchiere su una panchina, all’abbonamento allo stadio per quel Milan che lo faceva fremere!!!

 

Elvezio era vera immagine dello Spirito… era respiro, soffio, brezza, vento gagliardo e impetuoso, tornado!

Eh sì… Così, dopo quel martedì, l’ho visto tante altre volte muoversi come un tornado… L’ho incrociato alla mattina presto mentre girava per il paese a consegnare a domicilio riviste e avvisi di qualche associazione o il quotidiano Avvenire,  l’ho ritrovato all’oratorio a pulire spogliatoi e bagni o a preparare la spaghettata per i ragazzi dell’oratorio feriale, a consegnare in qualche casa teglie di lasagne da lui appositamente cucinate, a distribuire di sera in qualche casa pacchi di alimenti, secondo quella sua charitas discreta di manzoniana memoria, che nel tacer pudico accetto il dono fa…

L’ho rivisto vento gagliardo… ogni volta che si discuteva delle cosiddette istituzioni o delle associazioni, di cui non voleva – da vero spirito libero – far parte stabilmente, ma per le quali si spendeva indistintamente, senza badare a colore o schieramento, sempre comunque nel nome di “amici” che nel suo credo venivano prima di ogni altra classificazione.

E così l’ho visto collaborare insieme a Marzia alla nascita della Scuola di Italiano per gli stranieri, ma anche alle numerose iniziative della sua amata Colico, non ultima l’animazione nella convivialità delle coppie che si preparavano al matrimonio.

Perché Elvezio era così: lanciava, avviava…poi lasciava spazio, come chi chiede all’amico di aprire le porte della sua casa e poi lo lascia lì, sulla soglia, perché possa continuare a sperimentare sempre, anche da solo, il sapore dell’altro…

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L’ho intravisto ancora come una brezza leggera… ogni volta che ti raccontava delle sue esperienze, dalla gioventù fino all’oggi, dall’organizzazione di cineforum alla passione per il gruppo musicale dei Nomadi e per le passeggiate in montagna con gli amici e con i sacerdoti, della sua famiglia e delle sue figlie Giulia e Maria e dei loro percorsi di studio e di crescita…

Senza renderla mai pesante, Elvezio amava la “cultura” del cuore, che toccava svariati ambiti: poteva da un momento all’altro consegnarti fotocopie di un corso intensivo sul “Concilio dei Giovani” tenutosi ad Asola negli anni ’70, un testo della comunità di Bose oppure l’ultimo libro di Davide Van de Sfroos, che magari si metteva a leggere proprio lì, in Chiesa, mentre un incontro o un’omelia non riuscivano a trasmettergli quella verità che in quel momento stava ricercando…

Amava vagare per i luoghi del suo lago, ma anche per i musei e per le Chiese di Milano, sempre informato e interessato a conoscere autori ed opere d’arte, sempre con i suoi giudizi taglienti ed efficaci per evidenziare quando a volte “la parola Arte” gli sembrava sottrarre spazio alla parola “Uomo”.

 

L’ho percepito come un soffio lieve… ogniqualvolta doveva dirti un “grazie” anche senza motivo: ed allora si presentava a casa tua con una cassetta di frutta dell’orto, con un libro, con un oggetto sempre diverso e sempre originale che ti lasciava stupito, perché sempre azzeccato…

Una pietra incisa raffigurante un angelo custode, un vestito originale per i bimbi e per le bimbe, un libro che non si riusciva a trovare da nessun’altra parte… la danza del dono di Elvezio non prevedeva contraccambio.

E a lui piaceva donare – soprattutto agli ultimi e a coloro che vivevano qualche difficoltà – soprattutto tempo e parole, beni inestimabili.

elvezio_6Nel 2013, attribuendogli il Premio San Valerio, l’intera comunità Albiatese aveva riconosciuto in lui una risorsa importante e nascosta.

“Fervente sostenitore dei valori più alti della vita, della famiglia e dell’amicizia egli si è reso particolarmente vicino, con spirito di disponibilità e di altruismo, agli ammalati, ai ragazzi e ai giovani sapendo coltivare i rapporti umani con costruttivo dialogo. Prezioso il suo apporto di volontariato nell’ambiente oratoriano e nei confronti delle persone straniere che si trovano nella necessità di apprendere la nostra lingua.

La sua lineare testimonianza  di servizio, che perdura nella generosità e gratuità, merita di essere segnalata a conferma di come ciascun cittadino con il suo discreto ma convinto contributo può rendere migliore e più serena la convivenza sociale garantendo alla stessa un  futuro più umano e solidale.”

Perché, del resto, ad Elvezio piaceva anche donare i suoi sogni per l’avvenire: una tenda della condivisione da realizzarsi sulla pubblica piazza (perché nella vita non ci si deve rintanare), cene di condivisione con i lontani e gli stranieri (perché se si condivide si moltiplica), orti di condivisione coltivati a più mani e messi nelle mani di bambini (perché dalla terra nasce l’uomo)…

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L’ho colto come un respiro… allorché, come ha ricordato anche un suo amico sacerdote, era solito ripetere che la preghiera non poteva essere una penitenza da assegnare al termine delle confessioni, ma il respiro dell’anima, che, se mancante, avrebbe provocato la morte dell’uomo.
Negli ultimi tempi anche la sua voce affievolita lasciava intravedere che quella sua affermazione la stava vivendo su di sé ricercando nei suoi “momenti di deserto” quel respiro dell’anima che poteva ancora dargli voce…

 

Una domenica mattina soleggiata dello scorso settembre sono passato a rivedere Elvezio: era circondato solo da bellissimi fiori su cui si posavano api in cerca del nettare, pronte a recuperare il polline da trasportare di pianta in pianta…

 

Poco istanti dopo essermi allontanato, ho rivisto avvicinarsi attorno agli stessi fiori alcuni suoi ragazzi del ’72 e alcuni suoi amici milanisti, che, prima di andare al consueto raduno settembrino ai “crotti”, erano passati a salutare la loro “guida”…, api pronte a trasportare di nuovo quel polline di un ricordo fecondo di pianta in pianta!

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Al soffio lieve di questi ricordi, vuoi condividere anche tu il respiro di qualche aneddoto o episodio particolare vissuto con l’amico Elvezio?

Padre Mario Longoni, 35 anni di sacerdozio: ad multos annos!!!

padre_mario_longoniPer chi non lo conoscesse:

Figlio de l’Amelio ul calzular…”: ecco la sua storia raccontata su Ul Lanternin direttamente con le sue parole (siamo alla fine degli anni ’70)

Risponde alla chiamata del divenire sacerdote… e nel giugno 1980 il paese di Albiate si prepara alla festa!

Amici, giovani e bambini gli scrivono… e Padre Arnaldo Guerra ci ricorda che è un “nuovo prete”…Betharramita (dal Bollettino Parrocchiale di San Fermo – giugno 1980)

E che festa! Preceduta da un’intera settimana vocazionale!!! (dal Bollettino Parrocchiale di San Fermo – agosto 1980)

Presto pubblicheremo una bella biografia di Padre Mario…

 

Buon compleanno Don Bruno!!

Oggi, 22 settembre, don Bruno Molinari compie gli anni…

E’ stato bello condividere con lui ad Albiate tanti momenti… dall’inizio alla fine della sua permanenza in paese…

La sua prima “predica” ad Albiate il 28 agosto 1976 (dal quaderno de Il Cittadino della Domenica “il mio oratorio”)

Un breve ritratto… alla sua partenza da Albiate (dal testo di G. Sala)

Un po’ di foto che ci riportano indietro negli anni…

Vuoi fare gli auguri a Don Bruno?… puoi scrivere un commento qui sotto o inviargli una mail al suo indirizzo ufficiale di Monsignore a Seregno:

monsignore@basilicasangiuseppe.it

Sicuramente ne sarà felice… parola di Macchie Rosse!

Evviva la Scuola! La Scuola è viva!

In questi giorni centinaia di ragazzi albiatesi hanno il loro primo giorno di scuola…. ma quando è stato il primo giorno della scuola di Albiate? 🙂

Gli asili

Dal vecchio asilo del 1907… “Asilo infantile Galeazzo Viganò”  (tratto da PP. 68-69 di G. SALA, Albiate – dal Museo iconografico e storico)  all’Asilo Giovanni XXIII ….

Asilo_anno_1974

…. inaugurato l’8 settembre 1968… data importante per la comunità albiatese, ricordata come la “Giornata delle realizzazioni”…

Sapete quali altre opere furono inaugurate nella stessa giornata alla presenza del Cardinal Arcivescovo Colombo e del fratello di papa Roncalli, Giuseppe?

Oggi ad Albiate sono attivi la Scuola Materna Giovanni XXIII e l’asilo privato Fate e Folletti.

La Scuola Elementare 

Dedicata a Giuseppe Ungaretti è stata inaugurata nel 1929

Quanti ricordi nelle e dalle aule scolastiche… Fra gli altri qualche numero dei giornalini scolastici ciclostilati dell’epoca. Siamo alla fine degli anni Settanta e la Leva del ’68 fra Quarta e Quinta elementare, nei tre corsi A B e C, si impegna in un duplice interessante lavoro di cui possiamo ancora oggi apprezzare genuinità e freschezza:

 Maestre delle tre classi erano: Maria Ardemagni, Eugenia Ghezzi e … vi ricordate il nome della Terza insegnante? Inviatecelo pure, con i vostri ricordi dai banchi…    

Oggi la Scuola di Albiate ha un ricchissimo sito http://www.icalbiatetriuggio.gov.it

La Scuola Media

Intitolata a Enrico Fermi G. SALA, a pp. 217-218 in “Albiate. Dal dopoguerra all’inizio del nuovo millennio” ci ricorda, tra l’altro, della posa della prima pietra avvenuta il 1 novembre 1967.

La Scuola Professionale

Con decreto n 5403 del 27 aprile 1947 venne ufficialmente autorizzata l’apertura della Scuola Professionale dell’Oratorio di Albiate. Ne abbiamo notizia alla p. 73 di G. SALA, Albiate – dal Museo iconografico e storico


Ci piacerebbe raccontare anche del 1861, subito dopo l’Unificazione e la nascita del Regno di Italia, allorchè ad Albiate, che aveva allora censiti 1392 abitanti, vi era una scuola primaria classificata come “Rurale inferiore” e si arrivava fino alla Terza classe. 52 erano gli alunni maschi, 0 le femmine…

Mancava infatti nel nostro paese una scuola femminile, come del resto avveniva nel Mandamento V di Monza (che faceva capo a Carate, paese con 2782 abitanti) anche a Calò, a Cazzano, a Corezzana, a Paina, a Robbiano, a Tregazio, a Triuggio, a Valle, a Veduggio, a Vergo, a Villa Raverio…

Ma questa storia vi può interessare?… 

Buon compleanno Oratorio Paolo VI

Auguri per il tuo cinquantesimo compleanno… Oratorio Paolo VI!

Era il 12 settembre 1965, quando l’Oratorio maschile Centro Paolo VI veniva inaugurato per la gioia di generazioni di Albiatesi, che lì avrebbero trascorso e trascorrono parte della loro giovinezza e della loro vita…

Alcune fonti storiche:

Un’opera coraggiosa che preoccupava un pò il Vicario Don Giuseppe per il sostegno finanziario …

realizzata in anni in cui si aveva tanta fiducia nell’avvenire…

Qualche immagine degli anni 80 e 90 del nostro oratorio

A tutti coloro che hanno nel cuore l’Oratorio Paolo VI suggeriamo di cercare nelle loro biblioteche di casa il bel volumetto … Il mio Oratorio (appunti di Storia ed Educazione 1911 – 1991) edito da “il Cittadino della Domenica” nella serie dei Quaderni Albiatesi (n. 45).

Per chi non lo trovasse, presto torneremo a parlarne.

Lasciateci vostri commenti o ricordi, saremo ben lieti di condividerli

Albiatesi a Milano tra XIII e XV secolo: continua

Da PETRACIUS a GUIDOTUS, GUILLELMUS, AMBROGIUS… (casi esemplari fra appartenenze religiose, incarichi civili e commercio della lana)

Il frate umiliato Petraçius aveva rappresentato nel XIII° secolo una delle prime esperienze di trasferimento di nostri concittadini verso la città di Milano, non certamente l’unica.

Anche altri personaggi albiatesi si inurbarono sul finire del ‘200, dapprima arrivando ad assumere importanti funzioni amministrative e civili all’interno delle affermatesi istituzioni comunali, successivamente rivestendo uffici ed incarichi politici a nome delle signorie viscontee e sforzesche.

Un nostro concittadino, tal Guidotus de Albiate, venne chiamato nel 1284 (si veda l’atto del 24 maggio di quell’anno, conservato in ASMi, Perg., Monastero Vetteri, cart. 528) a partecipare al consiglio dei “Sei della Camera” del Comune di Milano (sex presidentes rationibus et defensionibus comunis Mediolani) ed in quella veste fu più volte interpellato per la risoluzione di controversie finanziarie sorte fra la municipalità milanese ed i suoi debitori e creditori.

Si trattava senza dubbio di un ufficio particolarmente rilevante, dal momento che questi sei funzionari (nominati uno per ciascuna delle porte attraverso le quali si accedeva alla città), affiancati nel loro operato da due notai, avevano il  compito di registrare le entrate del Comune su sei appositi registri, badando sia a non procedere – se non dopo averne fatto annotazione nei propri libri contabili – ad alcuna liquidazione di somme di denaro a creditori, sia ad impedire che cittadini milanesi facessero prestiti a persone e Comuni posti fuori della giurisdizione di Milano (ed alimentassero così la potenza di città nemiche).

Curatore degli interessi finanziari del capoluogo lombardo dovette allora essere l’albiatese Guidotus in quei sei mesi (tale era la durata del mandato) in cui detenne la carica, ma non solo…

I “Sei della Camera”, infatti, erano tenuti a custodire gli Statuti e gli ordinamenti della città, ad adoperarsi perchè il podestà, i consoli e gli altri officiali li osservassero, ad essere, pertanto – per quanto fosse nelle loro possibilità – sentinelle di libertà per il popolo in un’epoca in cui le rivalità fra gli esponenti delle famiglie dei Della Torre e dei Visconti continuamente laceravano il tessuto sociale della vita cittadina.

Accanto a Guidotus meritevole di citazione appare in questa sintetica ricognizione degli Atti del Comune di Milano (M.F. BARONI, R. PERELLI CIPPO, Gli Atti del Comune di Milano nel secolo XIII) anche Guillelmus de Albiate, forse figlio di tal Gallinus, che in Milano rivestì cariche giuridiche a partire dal 1263, ora come notaio addetto alle sentenze della Camera di porta Vercellina e di porta Ticinese, ora con la denominazione di notaio e scriba della camera di palazzo del comune di Milano (nei documenti degli anni 1266-1267), ora in qualità di consul pro iudice Mediolani (5 aprile 1272). 

Ma le fortune degli Albiatesi nell’amministrazione del capoluogo lombardo dovettero continuare anche nei secoli successivi con l’avvento delle signorie viscontea e sforzesca.

Se prestiamo fede ai dati fornitici da C. SANTORO, Gli offici del comune di Milano e del dominio visconteo e sforzesco (1216-1515), Ambrogio da Albiate agli inizi del XV°secolo e fino al 1405 (quando, alla sua morte, venne sostituito da Apollonio de Polla) fu uno dei notai dei malefizi collaborante con i due giudici addetti alle cause criminali. Quest’incarico, in precedenza assegnato dal Podestà della città, al principio del ‘400 era messo all’asta e dato quindi al miglior offerente.

Sufficientemente ricco (o comunque abbastanza importante nel contesto sociale) da permettersi questa carica fu probabilmente Ambrogio che venne scelto anche perché, come richiesto dagli Statuti cittadini, “straniero” alle lotte fra le fazioni cittadini o comunque gradito al Signore regnante.

Tra i suoi compiti a Milano: la redazione, la sottoscrizione e la registrazione degli atti inerenti ai reati commessi dai criminali dell’epoca, la notificazione ai rei delle accuse presentate contro di essi, affinché provvedessero alla propria difesa nel termine di tempo concesso dalla legge, l’inoltro dei mandati di sequestro di merci nei confronti di debitori insolventi.

Appartenente ad una famiglia di cospicua stirpe dovette essere anche il nobile uomo Simone da Albiate, che, nominato podestà di Crema nel luglio 1439, dopo un periodo di vicariato di sei mesi del dottor Lombardo de Millio, assunse la suddetta carica nel 1440, conservandola fino al 1444 (quando fu sostituito da Nicolò de Giorgi). Forestiero, scelto verisimilmente – secondo consuetudine – fra le famiglie più ricche e più nobili delle città alleate o amiche della Signoria che regnava su quei territori, Simone si dedicò all’amministrazione della giustizia sia civile che penale (con potere anche di condannare a morte) nella città di Crema ed in parecchie pievi circonvicine, mantenne a sue spese la corte, svolse funzioni di rappresentanza del Signore in un’epoca in cui la figura podestarile aveva ormai perso molti dei suoi poteri reali ed era assurta a mera “carica di prestigio”.

Ma famiglie provenienti da Albiate si trasferirono in Milano anche per impegnarsi in una delle attività maggiormente diffuse nel capoluogo e nel contado in quegli anni: la lavorazione della lana.

Con il perfezionamento della tecnica della lavorazione dei panni e con la diffusione di quest’arte, fra XIII° e XIV° secolo si venne progressivamente affermando una classe intermedia tra i grandi importatori di lana e gli artigiani: erano i mercanti-imprenditori che acquisivano dal grossista la materia prima, l’affidavano per la lavorazione ad operai specializzati e poi si impegnavano a portare sul pubblico mercato il prodotto finito, definendo opportunamente i prezzi.

A questa categoria, che già dal 1330 (ma forse anche prima) in Milano si era distaccata dalla “società dei grandi mercanti” ed aveva assunto una normativa statutaria autonoma per la propria attività, si affiancarono con la fine del secolo alcuni gruppi di lavoratori che erano riusciti a costituire delle corporazioni a sé stanti.

Un esempio di queste prime forme di cooperazione, nate dalla volontà di tutelare i propri interessi e di svincolarsi dai rigidi legami imposti dai grandi imprenditori, fu la “Società dei mercanti di lana sottile”, cui si iscrissero il 16 dicembre 1406 anche i fratelli Andriolus, Girardus, Aluysius e Donatus di Albiate.

Figli del defunto Zillio, residenti nella parrocchia di San Bartolomeo entro la cerchia cittadina, abbastanza ricchi da versare un deposito per l’iscrizione alla Società, i fratelli albiatesi in quella data diedero garanzia di esercitare fedelmente l’arte della lana e si impegnarono a rispettare gli statuti dei mercanti. Con il consenso dei vertici associativi registravano quindi in uno dei sette registri della matricola cittadina il proprio nome ed il marchio – mai da mutarsi nella figura e nella forma – che avrebbero apposto alle stoffe da vendersi sui mercati del capoluogo ed extracittadini (cfr. C. SANTORO, La matricola dei mercanti di lana sottile di Milano, p.45).

Uomini di fede, amministratori capaci della cosa pubblica, esperti lavoratori erano dunque gli Albiatesi del mondo medievale inseriti nella vita cittadina milanese.

Come i nostri contemporanei?

 

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